Me lo ricordavo diverso il deserto. Più sabbia, meno sampietrini. Più cammelli, meno macchine. Le oasi saranno pure dei miraggi, ma fanno concorrenza alle fontanelle con la scritta SPQR (in gergo "Nasoni"). Sinceramente me lo ricordavo anche più vuoto il deserto. Me lo ricordavo più desertico il deserto. Chi sono tutte quelle persone che sbraitano? Chi sono tutte quelle persone con i ventagli che ripetono come un mantra stanco "ammazza che caldo"?
"Ammazza che caldo" è l'incipit di ogni conversazione estiva. Sostituisce l'altrettanto stancante "come stai?"/"che mi dici?". E forse è meglio così. Dopotutto, si sa, fa caldo, molto caldo, troppo caldo. Ed è appena iniziato Luglio. Maledetto cambiamento climatico. Roma è diventata un deserto, ma (purtroppo) è un deserto poco desertico, troppo affollato, fastidiosamente e straordinariamente caotico (come al solito).
"Ammazza che caldo". Recentemente mi sono ritrovato a chiedermi se questo è lo stesso incipit dei numerosi lavoratori indiani dell'Agro Pontino che la mattina prestissimo fanno 15km in bicicletta per arrivare ai campi e poi per ore marciano sotto il sole cocente dell'estate. Chissà come si dice "ammazza che caldo" in indiano. O in pakistano o in bengalese o in qualsiasi altra lingua che viene usata in questi contesti. Circa un anno fa abbiamo parlato della condizione dei braccianti dell'Agro Pontino, in concomitanza alla morte atroce e scandalosa di Satnam Singh. Una morte che ebbe inizialmente un grande risalto nei media fino a essere (ovviamente) dimenticata dopo pochi mesi. A distanza di circa un anno (poco più), c'è il totale oblio mediatico. Con qualche piccola eccezione. Recentemente mi sono ritrovato a chiedermi se anche i braccianti dell'Agro Pontino tra di loro si dicono "Ammazza che caldo" perché mi è capitato di leggere un bellissimo articolo de Il Post che, dopo un anno dalla morte di Satnam Singh, analizza quanto la situazione sia cambiata. Vi consigliamo la lettura completa. È un articolo scritto sul campo (e sui campi, oserei dire). La risposta breve alla domanda "è cambiato qualcosa dopo 1 anno?" non può che essere "non è cambiato nulla". A cui andrebbe aggiunto un bel "anzi". Quel che però è interessante chiedersi e chiederci è "perché". Perché lo sfruttamento resiste e insiste nonostante lo scandalo? Perché il sistema produttivo agroalimentare continua a essere alimentato da braccianti/schiavi? Perché non si riesce a sconfiggere il caporalato? Perché si sa tutto ma non cambia mai niente?
Inutile scomodare la celebre frase di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, contenuta nel Gattopardo: "Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi". È una frase ormai abusata, in tutti gli ambiti, anche i più impropri, eppure qui calza a pennello. A distanza di un anno dalla morte di Satnam Singh, tutti gli elementi-chiave dello sfruttamento e del caporalato rimangono inalterati: dal lavoro nero all'assenza di qualsiasi norma e/o tutela sulla sicurezza, dalle paghe vergognose (parliamo di 4-5 euro l'ora o addirittura meno) al quantitativo di ore di lavoro che non possono non far pensare allo schiavismo (dalle 10 alle 14 ore di lavoro giornaliero). Mentre in molte città italiane si bloccano i lavori che prevedono impieghi fisici all'aperto, nell'Agro Pontino, in provincia di Latina, migliaia di braccianti, per lo più indiani, marciano ore e ore a 40 gradi all'ombra. Sveglia ogni mattina alle ore 5:30, raggiungono il posto di lavoro solitamente in bicicletta percorrendo decine di chilometri, fine del lavoro intorno alle 17 e dopo un’ora di bicicletta si è finalmente a casa. Chiamiamola vita... Come è possibile tutto ciò? Come è possibile dopo un "incidente" così grave come quello accaduto a Satnam Singh? Possibile che non si siano attivati protocolli? Possibile che non si siano attivati controlli? Certo che sì. Gli ispettori del lavoro hanno iniziato a girare. I sindacati, che già operavano coraggiosamente e orgogliosamente, si sono organizzati (nell'articolo viene riportato il commuovente impegno della sindacalista della CGIL Laura Hardeep Kaur). La vera domanda risposta è che, per l'appunto, "si doveva cambiare tutto per non cambiare niente". Come viene riportato sicuramente nell'articolo, alcuni aspetti del sistema economico sono modificati ma non le storture del modello di produzione agricola. In appena un mese, dopo la morte di Singh, in provincia di Latina sono state registrate 7.368 assunzioni a tempo determinato, quasi il doppio dell’anno precedente, segno che molte aziende si sono precipitate a regolarizzare i lavoratori in nero. La paura fa brutti scherzi. O belli, dipende dai punti di vista. Pare che anche i pulmini dei caporali davanti ai Centri di accoglienza straordinaria siano scomparsi. Davano troppo nell'occhio? Eppure, i caporali continuano a esserci e continuano a opera profondamente. È cambiata soltanto la modalità che paradossalmente si è fatta più sofisticata giungendo alla base del processo: la gestione dei flussi migratori. I caporali finiscono per guadagnare arruolando i braccianti direttamente nelle zone di partenza (in questo caso soprattutto il Punjab, in India) facendosi pagare a volte più di 10mila euro per il viaggio e per la richiesta di lavoro. 10mila significa per molte persone indebitarsi e trasformarsi da persone a braccianti, fondamentalmente schiavi. Il lavoro nero, dopo qualche mese, è nuovamente diffuso, ma, visto l'aumento dei controlli, si è passati a forme di lavoro "grigio".
Come riporta il sociologo Omizzolo, che da anni si occupa di questi fenomeni, "per sfuggire ai controlli, molte aziende più grandi e strutturate hanno ideato con l’aiuto di avvocati e commercialisti un sistema più sofisticato di sfruttamento: prevede un contratto di lavoro per pochi giorni regolarmente retribuito, ma in realtà i lavoratori sono impiegati a tempo pieno". Dunque, una parte del lavoro a contratto, una gran parte del lavoro in nero (chi lavora nel settore della ristorazione ne sa qualcosa...). Il metodo è diventato così sofisticato che una parte dei compensi viene anche rendicontata come "rimborso spese per trasferta", sulle quali non vengono pagate né tasse né contributi. Si arriva al paradosso per cui braccianti sfruttati finiscono per avere dei rimborsi spese, come nemmeno i più preparati professionisti, pur di sfuggire al pagamento delle tasse e dei contributi. Non solo il metodo è diventato più sofisticato. Sempre secondo Omizzolo, il metodo è diventato ancora più spietato e peggiore. Infatti, lo studioso sostiene che i controlli dopo la morte di Satnam Singh abbiano impoverito i braccianti mandati a casa dalle aziende; quando poi il lavoro è ripreso hanno accettato di lavorare a condizioni ancora peggiori. Tutto male quel che finisce male, insomma. Abbiamo parlato di metodo, ma forse è più corretto parlare di modello, forse ancora meglio sistema. Un sistema in quanto insieme di elementi distinti, in relazione fra di loro secondo leggi ben precise che concorrono al raggiungimento di un obiettivo comune. Il sistema della produzione agricola dell'Agro Pontino è un sistema stratificato, che si è definito nel corso di svariati anni, incrociando elementi cruciali dei nostri tempi come quello dell'immigrazione (regolare e irregolare). Questo sistema di produzione agricolo ci riguarda perché è proprio questo sistema che porta cibo e alimenti prima nei supermercati, poi sulle nostre tavole. Nell'Agro Pontino ci sono ben 6500 aziende agricole, che producono e vendono. Ci riguarda in prima persona. Tutti. Di solito, in questi casi, si finisce per colpevolizzare il consumatore che non si pone problemi su ciò che compra al supermercato, ma effettivamente bisogna chiedersi: ci sono alternative? Esistono botteghe etiche, prodotti biologici, negozi che vendono alimenti che vengono prodotti in maniera equa e solidale. Ma queste realtà sono una vera alternativa? Queste realtà sono una vera alternativa per chi è un normale lavoratore, per chi ha uno stipendio medio, per chi ha dei ritmi di lavoro medi? Queste realtà sono una vera alternativa accessibile a tutti, alle tasche e al tempo di tutti?
La risposta è no. Assolutamente no. Per fenomeni così complessi non esistono rivoluzioni individuali, scelte etiche di singoli che, seppur illuminate, non vanno a cambiare assolutamente nulla. Per fenomeni così sistemici, così radicati, non esistono risposte individuali veramente efficaci. Le risposte collettive, a livello politico e sociale, hanno il potere di cambiare (sul lungo termine) sistemi complessi e culture radicate. Dal produttore al distributore fino al consumatore. Dal datore di lavoro al lavoratore fino al cliente. Dalla politica al sindacato fino all'elettore. Rimboccarsi le maniche, tutti insieme, piano piano, per intervenire su sistemi complessi e soprattutto crudeli, cruenti. Ma fa caldo, molto caldo, troppo caldo, e forse non ci va così tanto.
Passiamo ora ad un argomento più leggero: nuovo San Carbonaro da Orazio ad Albano Laziale domenica 13 luglio!
Il menù è riportato nella locandina qui sotto👇
Vi ricordiamo che la prenotazione è obbligatoria e potete effettuarla scrivendoci in DM su Instagram (@anonimasocietacarbonari) o tramite Whatsapp: 3938072000 / 3356412261.
P.S. Durante la serata ci saranno dei quiz che vi permetteranno di vincere una vacanza di 7 giorni! Insomma, vale la pena partecipare😉